Dopo la «pausa politica» estiva si riprende con il botto: al voto riforme su AVS e imposta preventiva e una nuova iniziativa agricola.
Stabilizzare l’AVS, sarà la volta buona?
Come nel resto dell’Europa, la popolazione elvetica invecchia sempre di più e nei prossimi anni un numero sempre maggiore di persone raggiungerà l’età della pensione. Il sistema pensionistico è giocoforza sotto pressione e vige ampio consenso che debba essere adattato alle nuove circostanze. Altrimenti, l’AVS rimarrà presto senza soldi. Meno consenso vi è però attorno alle soluzioni.
Dopo anni di riforme bloccate, gli svizzeri hanno nuovamente la possibilità di stabilizzare le finanze dell’AVS. Nel suo messaggio, il Consiglio federale ribadisce come «il sistema della previdenza per la vecchiaia vada adeguato all’evoluzione demografica e a quella economica. Se non saranno adottate misure mirate, l’intero sistema perderà la sua stabilità. Se l’equilibrio finanziario non potrà più essere garantito, il versamento delle rendite sarà compromesso. Per evitare una tale situazione, occorre riformare l’AVS».
In questo contesto gli obiettivi dichiarati del progetto AVS21 sono di garantire il finanziamento dell’AVS fino al 2030, mantenere il livello di queste ultime e considerare le esigenze in materia di flessibilità al momento del pensionamento. Dal punto di vista delle misure, il progetto prevede l’armonizzazione dell’età di riferimento per gli uomini e per le donne a 65 anni e dunque l’aumento graduale dell’età di pensionamento delle donne (anche nella previdenza professionale, ossia il secondo pilastro). Parallelamente vengono definite misure di compensazione per le donne della generazione di transizione e permessa una maggiore flessibilizzazione della riscossione della rendita. Inoltre il Parlamento ha varato incentivi per continuare a lavorare dopo i 65 anni e, sul fronte delle entrate, previsto un aumento dell’IVA di 0,4 punti percentuali (+0,1% per le aliquote ridotte).
Sì convinto dai partiti borghesi e dall’economia per “garantire le rendite”
Il fronte dell’economia e dei partiti del centro destra sostiene la riforma ed evidenzia il rischio che l’AVS possa presto trovarsi in una situazione finanziaria grave: AVS21 sarebbe così necessaria per garantire le rendite in futuro, senza tagli di queste ultime. Inoltre viene messo l’accento sulla flessibilizzazione dell’età pensionabile: se approvato, il progetto permetterà di scegliere liberamente il pensionamento tra i 63 e i 70 anni e offre la libertà di adattare il prelievo pensionistico individualmente. Il finanziamento attraverso l’IVA viene inoltre considerato equo da un punto di vista intergenerazionale.
Sinistra e sindacati contrari a una riforma “a scapito delle donne”
Secondo i referendisti, costituiti in gran parte da esponenti di sinistra e dai sindacati, la maggior parte dei risparmi previsti sono a carico delle donne. Il gentil sesso uscirebbe perdente dalla riforma, tanto più che le misure di compensazione per la generazione di transizione sono troppo limitate. Inoltre il sacrificio non verrebbe nemmeno ricompensato con una solidità finanziaria a lungo termine dell’AVS, alla luce del fatto che si imporrebbero ulteriori misure future per compensare le prevedibili perdite. Come alternative per la soluzione di finanziamento vengono spesso citate altre fonti, come il ricorso agli utili della Banca Nazionale, l’aumento dei contributi salariali o un aumento più consistente dell’IVA.
Quale orizzonte per l’AVS? La speranza di vita sempre maggiore mette sotto pressione la principale istituzione sociale svizzera.
I tentativi di riforma dell’AVS, una storia di fallimenti
L’attesa nei confronti del voto del 25 settembre è alta e la domanda che si pone è se finalmente la politica sia riuscita a concordare un pacchetto di misure per sgravare l’AVS che riesca a convincere anche la popolazione.
Sono infatti oltre 25 anni che la principale assicurazione sociale non è stata oggetto di riforme, nonostante uno squilibrio finanziario sempre più accentuato. Nel 1995 entra in vigore la 10ma revisione dell’AVS, in votazione popolare. Essa prevedeva in una prima fase (nel 2001) l’aumento dell’età pensionabile delle donne a 63 anni e in una seconda fase, nel 2005, a 64 anni. Oltre a ciò, sono stati resi possibili il pensionamento anticipato e lo splitting dei coniugi.
Nel 1997, il Governo ha proposto, alfine di finanziare le spese aggiuntive dell’AVS indotte dalla demografia, l’introduzione del cosiddetto “percento demografico”, ossia l’aumento dell’IVA dell’1% a beneficio dell’AVS. Il Parlamento ha seguito la proposta e non è stato lanciato il referendum. Dal 1999, quindi, l’AVS dispone così di un’entrata fiscale diretta.
Dopo l’avvento del nuovo millennio non si muove più nulla: l’11ma revisione dell’AVS viene bocciata dal popolo alle urne. Essa prevedeva un aumento dell’età pensionabile per le donne a 65 anni e un aumento dell’imposta sul valore aggiunto a favore dell’AVS. Stesso destino anche per un progetto di legge successivo all’11ma revisione dell’AVS, anch’esso implicante l’aumento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni come pure la flessibilizzazione del pensionamento.
Il resto è storia recente: nel 2017 anche l’ultima riforma dell’AVS, la previdenza vecchiaia 2020, viene bocciata in votazione popolare. La proposta prevedeva l’aumento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni, la flessibilizzazione del pensionamento e un finanziamento aggiuntivo attraverso l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto. Per le generazioni interessate prevedeva inoltre misure di compensazione per mantenere il livello delle rendite.
Un piccolo scorcio di luce è stata l’approvazione, nel 2019, di un progetto di riforma fiscale legato ad un finanziamento dell’AVS (progetto RFFA).
2 oggetti in votazione, 1 solo tema.
Il pacchetto di misure AVS21 si compone di due oggetti in votazione. Da una parte il finanziamento supplementare a favore dell’AVS mediante l’aumento dell’IVA, che viene sottoposto al popolo in quanto referendum obbligatorio (che necessita la maggioranza di cantoni) e la modifica della Legge sull’AVS, contro cui è stato lanciato il referendum. Dal momento che i due progetti possono entrare in vigore soltanto insieme respingere un progetto significa far fallire anche l’altro. Occorre dunque votare o 2xSI (i favorevoli) o 2xNO (i contrari).
Riforma sull’imposta preventiva: gioia o dolori per le finanze della Confederazione?
L’imposta preventiva è un’imposta riscossa alla fonte sui redditi da capitale, tra cui interessi, averi di clienti, redditi da investimenti collettivi, pari al 35%.
Secondo il Consiglio federale e il Parlamento questa imposta è un ostacolo soprattutto nel caso delle obbligazioni. Infatti gli interessi obbligazionari svizzeri sono soggetti a questa imposta e toccano tutti gli investitori. Successivamente, la maggior parte di questi ha diritto a un rimborso integrale o almeno parziale dell’imposta preventiva, ma il prelievo e la restituzione sono all’origine di un processo burocratico importante. L’economia e la piazza finanziaria lamentano da tempo che a causa dell’imposta preventiva i gruppi svizzeri tendono a non emettere le proprie obbligazioni in Svizzera ma in Stati senza imposta alla fonte, aumentando così l’interesse nei confronti dei propri titoli. Questo sarebbe all’origine di un mercato dei capitali di terzi poco sviluppato in Svizzera. Con queste premesse è stato concluso un progetto, approvato dal Parlamento che prevede:
- L’abolizione dell’imposta preventiva sugli interessi di obbligazioni. L’imposta preventiva sugli interessi sul patrimonio delle persone fisiche in Svizzera detenuti presso banche, casse di risparmio e imprese di assicurazione resta però prelevata;
- Abolizione della tassa di negoziazione sulle obbligazioni svizzere, anch’essa un ostacolo per il mercato obbligazionario elvetico.
L’obiettivo del progetto è rafforzare il mercato svizzero dei capitali di terzi, e per farlo bisogna permettere alle imprese di tutti i settori di emettere obbligazioni dalla Svizzera a condizioni concorrenziali.
Consiglio federale, Parlamento e mondo economico favorevoli: «basta regali fiscali all’estero»
I favorevoli pongono l’accento sul fatto a causa dell’imposta preventiva, il finanziamento delle nostre imprese fugge all’estero, e con esso preziosi introiti fiscali. Inoltre i finanziamenti ecologici e sostenibili sono realizzati all’estero, poiché sarebbe là che si trovano gli investitori. Sotto questo aspetto il bilancio globale della riforma sarebbe estremamente positivo e la diminuzione di entrate minima paragonata all’importanza della riforma per la Svizzera. Secondo l’Amministrazione federale delle contribuzioni gli effetti positivi genererebbero entrate supplementari per 350 milioni di franchi su cinque anni e 490 milioni su dieci anni. Un rapporto “costi-benefici” secondo i favorevoli al progetto, «eccellente».
La sinistra dice «No a nuovi sgravi per i ricchi e le multinazionali»
I partiti di sinistra e i sindacati hanno lanciato il referendum contro la riforma dell’imposta preventiva, ragione per la quale deve esprimersi il popolo. Questa, secondo loro sarebbe stata introdotta per evitare che i gestori patrimoniali disonesti e i ricchi investitori ingannino il fisco. L’abolizione rappresenterebbe un lasciapassare per la criminalità fiscale a favore dei ricchi svizzeri e stranieri a spese della collettività. Inoltre essi temono che le perdite fiscali non vengano compensate e che sarà necessario tagliare prestazioni dello Stato.
Ci guadagnerebbero la Piazza finanziaria e dunque il fisco svizzero o solo i potenziali evasori fiscali?
In Svizzera l’allevamento è troppo “intensivo”?
Spesso citata come esempio nella protezione degli animali, la Svizzera è chiamata, dopo le due sui pesticidi nell’estate 2020, a pronunciarsi su un’iniziativa di tipo “agricolo”. L’iniziativa contro l’allevamento intensivo chiede che la tutela della dignità degli animali da reddito quali bovini, polli o suini sia sancita dalla Costituzione. In particolare essa chiede di vietare l’allevamento “intensivo”, poiché lederebbe il benessere degli animali. La Confederazione dovrebbe stabilire requisiti minimi più severi in materia di allevamento, come pure di accesso a spazi esterni, di macellazione nonché relativi alle dimensioni massime del gruppo per stalla. Ma il progetto si spinge anche oltre: i requisiti infatti si applicherebbero anche all’importazione di animali e prodotti animali, nonché di derrate alimentari con ingredienti di origine animale.
Gli iniziativisti: «un’iniziativa necessaria per gli animali»
Secondo gli iniziativisti, la maggior parte degli animali negli allevamenti trascorrono gran parte della propria vita su superfici in asfalto, mentre solo il 12% degli animali avrebbe la possibilità di uscire regolarmente. Oltre a ritenere che oggi gli animali vivano in gruppi eccessivamente grandi, gli iniziativisti denunciano che al momento della macellazione, molto bestiame verrebbe trasportato sotto condizione di grande stress e stordito con metodi problematici. A tutti questi problemi l’iniziativa troverebbe una soluzione.
Contadini, Consiglio federale, Parlamento e centro destra contrari: «esagerata e contraria agli accordi internazionali»
Secondo i contrari all’iniziativa, gli animali da reddito sono già tutelati molto bene e sempre più animali sono detenuti in modo particolarmente rispettoso. Il divieto d’importazione per prodotti che non rispettano gli standard bio di allevamento sarebbe estremamente costoso da far rispettare e comporterebbe la violazione di accordi con importanti partner commerciali. Il prezzo di gran parte di derrate alimentari aumenterebbe, in un momento di inflazione già problematico di suo.
Se lo chiederanno anche loro: cosa deciderà la popolazione svizzera in occasione della terza votazione su temi agrari in due anni?