Normative penali e disposizioni anticipate di trattamento in Italia e Svizzera
Gentile Avvocato
Invio a malincuore questa mail, sotto la spinta di pressanti esortazioni da parte di mia madre, una sig.ra davvero speciale giunta quest’anno alla tenera età di 90 anni… Lucidissima, ha qualche problema di mobilità (però compie ancora dei tragitti con il carrellino), è ospite di una casa di riposo, ha vicino la sua famiglia però…
Si rende conto di non essere più indipendente e di non poter più fare la vita di prima perciò mi chiede con sempre maggiore insistenza di informarmi riguardo l’eutanasia, essendo cittadina svizzera.
Potrei avere delle indicazioni in merito?
Mia madre non è una che “molla l’osso”, vuole sapere!
Vi ringrazio anticipatamente, cordiali saluti.
S. F. (Prov. di Venezia)
Gentile Signora,
innanzitutto, congratulazioni alla Sua mamma che alla veneranda età di ben 90 anni, oltre ad essere lucidissima, come Lei scrive, pare essere anche molto “determinata”.
Per altro verso, capisco la Sua tristezza. La richiesta che Lei ci pone è assai delicata e, se non erro, nella sua lunga storia non è mai stato esplicitamente affrontato dalla Gazzetta Svizzera.
Il tema, dicevo, è particolarmente delicato perché ha importanti implicazioni giuridiche, morali e religiose e, dunque, muove sentimenti contrastanti e provoca plurime reazioni, magari anche radicali. Ci siamo anche noi interrogati su come affrontare le domande di Sua mamma, e lo faremo cercando di fornire un contributo informativo e conoscitivo, cercando di non urtare le diverse sensibilità, e sfatando anche alcuni equivoci o luoghi comuni in materia.
Suicidio assistito ed eutanasia
Il primo chiarimento necessario riguarda i concetti di suicidio assistito e di eutanasia.
Nel primo caso è la persona che desidera morire a compiere materialmente l’atto che pone fine alla propria vita, ed un terzo si limita a prestare un semplice aiuto al suicidio, laddove il soggetto non sia in condizione di compiere tutte le azioni strumentali a tal fine. Nel secondo caso, invece, è proprio la persona terza a compiere l’atto finale che toglie la vita alla persona che vuole morire.
La differenza è notevole e trova diversa disciplina in entrambi i Paesi.
Suicidio assistito in Svizzera
La Svizzera sanziona l’eutanasia, ovvero l’omicidio su richiesta della vittima all’art. 114 del codice penale.
Viceversa, il suicidio assistito viene punito nella Confederazione solo se compiuto per fini egoistici all’art. 115 del codice penale.
Sulla scorta di quest’ultima disposizioni sono sorte numerose associazioni per l’assistenza al suicidio, le quali offrono un supporto medico-logistico con il ricovero ospedaliero o l’assistenza domiciliare, fornendo anche un farmaco letale (di solito il pentobarbitale sodico).
Il vivace dibattito a livello politico e sociale del passato in Svizzera non è però sfociato in normative che disciplinassero le modalità e le condizioni del suicidio assistito – un fatto che sarebbe stato utile sia per determinare obblighi sia per evitare abusi – . In realtà, vige in Svizzera una sorta di “autoregolamentazione” sulla base di direttive che a partire da novembre 2005 si è data l’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche sulla “assistenza dei pazienti terminali”. In breve si tratta di quanto segue:
- il medico ha sempre il diritto di rifiutare l’assistenza al suicidio;
- se il medico accetta, deve verificare che la malattia del paziente faccia supporre un suo decesso imminente;
- va anche verificato che siano stati proposti trattamenti alternativi e, ove accettati, anche applicati;
- va accertata la capacità di intendere e di volere del paziente;
- il medico deve assicurarsi che l’atto conclusivo (l’assunzione del farmaco) sia adottato in via autonoma ed esclusiva dal paziente stesso.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Svizzera
Sulla pratica del suicidio assistito in Svizzera si è pronunciata la Corte EDU una prima volta nel 2011 (Sentenza Haas contro Svizzera) stabilendo che non vi era alcuna violazione del diritto al rispetto della vita privata nella disposizione che consentiva l’assunzione di sostanze letali solo previa prescrizione medica rilasciata all’esito di un procedimento volto ad assicurare che il richiedente fosse consapevole (c.d. consenso informato).
Successivamente, nel 2013 la Corte EDU (Sentenza Gross contro Svizzera), ha condannato la Confederazione perché la legge svizzera non era ritenuta sufficientemente chiara nel determinare i casi in cui tale pratica doveva ritenersi consentita.
Suicidio assistito in Italia
In Italia esiste una disciplina analoga del codice penale che punisce all’art. 580 l’istigazione o l’aiuto al suicidio, in qualsiasi modo sia attuato e con una serie anche di aggravamenti di pena in casi particolari.
La norma è stata oggetto di un importantissimo intervento della Corte Costituzionale (Sentenza n. 242/2019) che ne ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale per i motivi che vedremo tra poco.
È altresì punito penalmente a norma dell’art. 579 l’omicidio del consenziente, e cioè l’eutanasia, anche se con una pena edittale inferiore all’omicidio comune, ed anche qui con la previsione di alcune aggravanti in casi particolari.
In ordine a questo reato è stata proposta in Italia una raccolta di firme per sottoporre a referendum abrogativo parte della disposizione così da rendere tale condotta legittima e non più perseguibile. Anche su questo punto diremo meglio più avanti.
La Corte Costituzionale italiana
In tema di aiuto al suicidio, come detto, si è pronunciata nel 2019 la Corte Costituzionale italiana in una vicenda che era giunta alla ribalta della cronaca perché riguardava l’attività di ausilio prestata da un noto esponente radicale al suicidio proprio in Svizzera di un dee-jay ridotto in condizioni gravi ed irreversibili a seguito di un incidente.
A seguito di ciò, infatti, l’esponente politico era stato sottoposto ad un procedimento penale ma era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p..
La Consulta, dopo avere espressamente auspicato e vanamente atteso un intervento del legislatore, pur riconoscendo l’importanza della tutela del diritto alla vita (soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili) ha nondimeno riconosciuto anche la non conformità alla Costituzione nei casi in cui l’aspirante suicida sia un soggetto
- con una patologia irreversibile;
- fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che trova assolutamente intollerabili;
- tenuto in vita artificialmente;
- purché capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
In tali ipotesi, infatti, sussiste nel malato il diritto individuale a rifiutare in base all’art. 32 Cost. il mantenimento artificiale in vita, e dunque, l’assistenza del terzo nel porvi fine non può essere punita, perché il divieto assoluto di aiuto limiterebbe ingiustificatamente la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle volte a farne cessare le sofferenze.
Il recente quesito referendario sull’eutanasia in Italia
Il referendum è stato promosso da una nota associazione sempre vicina ai radicali che si occupa proprio del fine vita, e ha raggiunto ed abbondantemente superato le 500 mila firme necessarie per il voto.
Sulla validità del quesito è chiamata a pronunciarsi per prima la Corte di Cassazione, la quale è incaricata della verifica delle firme medesime.
Una volta avvenuto ciò, sarà poi la Corte Costituzionale a dover valutare la legittimità del quesito.
La questione è molto dibattuta, in quanto l’eventuale accoglimento del quesito referendario, comporterebbe un notevole ampliamento dell’area di liceità penale dell’omicidio di persona consenziente, non senza evidenti contraddizioni a fronte dalla sussistenza invece di stringenti condizioni per l’aiuto al suicidio, come visto.
La Corte Costituzionale si pronuncerà nell’arco del 2022, e dunque ne conosceremo le valutazioni.
Intanto, però, riteniamo di avere raccolto sufficienti elementi per poter dare una concreta risposta anche a Lei ed ai desideri di Sua mamma.
Le nuove norme sulle “direttive del paziente” o “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT)
Nella più ampia categoria del “testamento biologico”, e sulla scia di questo, si possono far rientrare oramai anche altre produzioni legislative affini e più recenti, di particolare attualità in tempi di Covid-19 e che hanno avuto anche un notevole incremento a quanto pare, soprattutto in Svizzera.
Fra le varie norme introdotte nel 2013 in Svizzera sono previste anche le direttive anticipate del paziente (c.d. DA) e la rappresentanza in caso di trattamenti medici.
In forza dell’art. 370 CCS e ss. è infatti possibile da parte del paziente designare con direttive vincolanti per il medico i trattamenti sanitari ai quali accetta o rifiuta di sottoporsi nel caso divenga “incapace di discernimento”, ad esempio perché affetto da infermità, debolezza mentale, ebbrezza o stati simili (art. 16 CCS). Il discernimento equivale grosso modo alla capacità di agire nel diritto italiano (art. 2 c.c.).
Inoltre, il codice civile svizzero prevede agli artt. 360 ss. una nuova e particolare figura di mandato c.d. “precauzionale” – già esaminato nella Rubrica Legale di Marzo 2017 –.
Tale strumento giuridico consente di provvedere alla cura di una persona o dei suoi interessi patrimoniali e di rappresentarla nei rapporti giuridici. Esso è più ampio della procura ed è stato creato sempre per tutelare il soggetto che appunto divenga “incapace di discernimento”.
Il mandato viene conferito o per atto notarile o in via olografa e ciò significa che deve essere scritto, datato e firmato dal mandante, in previsione che venga a mancare il discernimento. L’atto può anche essere trascritto presso l’ufficio dello stato civile, per consentire la verifica all’autorità di protezione degli adulti.
Analogamente, l’Italia con la L.n. 219/2017 si è dotata di norme specifiche relative al consenso informato sui trattamenti sanitari ed alle disposizioni anticipate di trattamento (c.d. DAT), disciplinando anche i casi di rifiuto al trattamento, di terapia del dolore e di divieto di accanimento terapeutico in caso di prognosi infausta.
È infatti divenuto possibile, ai maggiorenni nel pieno delle loro facoltà e sempre dopo adeguate informazioni, disporre per il futuro, accettando o rifiutando accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e specifici trattamenti sanitari, nell’ipotesi che si verificasse una incapacità di autodeterminarsi.
Anche in Italia è prevista la nomina di un “fiduciario” che rappresenti in seguito il paziente nelle relazioni con i medici curanti e le strutture ospedaliere, con atto pubblico o scrittura privata autenticata o depositata all’ufficio di stato civile di residenza del disponente.
Conclusione
Dal complesso di queste disposizioni emerge, in sostanza, che il suicidio assistito in Svizzera, sebbene insufficientemente disciplinato, non è una pratica rimessa al libero arbitrio né del potenziale suicida, in quanto è almeno indispensabile che il soggetto sia un malato terminale il cui decesso sia imminente; né a quello di un terzo, che pur aderendo per pietà ad una “seria e insistente richiesta”, come recita la norma, della persona che desidera morire, lo privi della vita, in quanto in tal caso, verrebbe punito con una pena detentiva sino a 3 anni.
Allo stesso modo, in Italia, a seguito delle statuizioni della Consulta, l’aiuto al suicidio è consentito limitatamente alle persone consapevoli e capaci di intendere e di volere, sebbene mantenute in vita artificialmente, che desiderino porre fine alle proprie indicibili sofferenze.
Lo scenario, quantomeno in Italia, potrebbe modificarsi per l’omicidio del consenziente dopo un eventuale referendum, mentre per la Svizzera l’omicidio del consenziente resterebbe pur sempre un reato punibile – cosa che attualmente vale per entrambi i Paesi –.
Probabilmente avremo occasione di riparlarne presto, anche perché la prassi giudiziaria ha posto in Svizzera, e porrà ancor più in futuro in Italia, un numero rilevante di casi limite di non facile risoluzione.
Di certo però, è evidente che la situazione di Sua mamma non ricade proprio nemmeno nelle ipotesi di liceità che attualmente possano consentire l’assistenza di un terzo al suicidio, né in Italia né in Svizzera.
Questione totalmente diversa è quella di decidere per il proprio futuro con riferimento ai trattamenti sanitari, diritto pacificamente riconosciuto sia in Italia sia in Svizzera, con alcune diversità che, però, per ragioni di spazio, non riusciamo ad affrontare in questa sede.
Possiamo quindi solo augurarci che l’intento manifestato da Sua mamma fosse dovuto unicamente ad un momento di sconforto del tutto passeggero e che ritrovi invece la forza e la serenità per godersi ancora i restanti anni di vita e l’affetto dei sui cari in buona salute.
Con i migliori saluti e l’augurio a Voi ed a tutti i nostri affezionati Lettori di un buon Anno Nuovo!
Avv. Markus Wiget
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