L’ex presidente della Pci: a differenza dei volontari italiani, da noi il servizio è obbligatorio
Ignazio Bonoli, trent’anni al timone della protezione civile per l’aiuto alla popolazione in Svizzera
Lugano - Il dr. Ignazio Bonoli, nome noto ai nostri lettori, oltre ai molti prestigiosi incarichi pubblici, per una 50na d’anni (1969-2018) si è occupato quale capo redattore delle edizioni di Gazzetta Svizzera.
Lo scorso ottobre dopo ben 30 anni, ha lasciato la presidenza della Protezione Civile Regione Lugano (Pci). Una carica delicata e impegnativa per una istituzione di fondamentale importanza per la cittadinanza e il territorio.
I vertici della Pci, come il comandante Aldo Facchini, hanno salutato il loro presidente: «Competente e concreto, aperto all’ascolto, signorile e mite, ha assunto la non facile responsabilità di chi deve prendere le decisioni anche con pochi elementi, garantendo la continuità e guidando l’Organizzazione davanti a eventi come la frana in Val Bavona, l’alluvione della Magliasina, le frane di Davesco e Bombinasco, il covid».
«….è stato una vera guida - ha affermato il presidente entrante Alfredo Belloni - «Intelligenza e conoscenza della materia. Discreto e sempre presente. È stato il cuore e motore pulsante della PCi Lugano Città».
Insieme al dr. Bonoli, è interessante conoscere gli inizi di questa istituzione che ha portato aiuto agendo, talvolta, anche sul territorio italiano
Cosa la spinse ad entrare nella Pci?
«Eravamo in un periodo storico particolare. La Pci di oggi è nata negli anni ’50, quando si temeva ancora un eventuale conflitto nucleare. All’inizio il suo compito principale è stato quello di dotare tutto il territorio svizzero di rifugi pubblici e privati. La legge federale ha attribuito ai comuni l’obbligo di creare questi rifugi e di istruire il personale necessario. Lugano è stata la prima città in Svizzera che ha proposto una soluzione regionale. Il comune di Breganzona mi ha proposto come delegato. Il gruppo di una dozzina di comuni iniziale, poi arrivato a 36, ha creato la regione Lugano-Città. Nel 1992, ho rotto la tradizione che voleva presidente un municipale di Lugano e sono diventato presidente del Consorzio».
Cosa porta con sé da questa pluridecennale esperienza di presidente?
«Ho potuto conoscere a fondo un organismo come la Pci locale, così come quella cantonale, federale e di altri cantoni che abbiamo visitato. Ho avuto molti contatti e stretto amicizie. Infine, la soddisfazione di aver portato il nostro consorzio a un livello di eccellenza, grazie alla collaborazione con i comuni, i delegati, i comandanti e la nostra ventina di collaboratori».
Qual è il ruolo della Protezione Civile all’interno del nostro sistema?
«È un ruolo oggi chiaramente definito dalla Legge federale sulla protezione della popolazione, e che la affianca alle altre componenti, e cioè: la polizia, i pompieri, i servizi sanitari e i servizi tecnici. La sua organizzazione è compito dei cantoni. Il Ticino ha mantenuto la sua struttura con sei consorzi regionali».
A differenza dell’Italia i vostri operatori non sono dei volontari. Come vengono ingaggiati?
«Sì, la Pci svizzera non è basata sul volontariato. Se di esso si può parlare lo si deve solo a militi e ufficiali che hanno esaurito l’obbligo, ma vogliono continuare a servire. Per il resto tutto avviene al momento del reclutamento per il servizio militare. Chi non può svolgerlo o non lo desidera, può essere arruolato nella Pci. Il calo dei nostri ingaggiati è dato dal fatto che, in fase di reclutamento, l’esercito fa pressione per avere più militi abili al proprio servizio, per cui quelli per la Pci diminuiscono,».
Soccorritori non ci si improvvisa, occorre una preparazione tecnica, come la svolgete?
«Vi sono corsi introduttivi e poi corsi di ripetizione ogni anno fino all’età di 40 anni. I cantoni e le regioni si occupano dell’istruzione, in parte con personale professionistico, in parte con ufficiali di milizia i quali forniscono una formazione adeguata anche impiegando largamente le loro conoscenze professionali nei vari settori: dal salvataggio, all’assistenza, alla protezione dei beni culturali, e così via».
Di quali strumenti tecnici vi avvalete per i soccorsi?
«Siamo ben dotati di mezzi moderni, forniti a livello federale e cantonale: di nostra iniziativa ci siamo inoltre dotati di un nuovo “veicolo comando” e di un autocarro pesante per interventi in caso di catastrofe, oggi attività principale della protezione civile».
Come parte l’intervento?
«C’è un sistema d’allarme che è gestito dalla polizia. A seconda delle necessità vengono avvertite le istanze preposte. La Pci di regola non fa i primi interventi. Disponiamo però di un servizio di picchetto quotidiano».
Durante il suo lungo incarico, quali gravi accadimenti hanno richiesto la vostra opera nella regione di Lugano?
«Sicuramente le alluvioni e le frane in Ticino con morti e feriti nel corso degli anni 2000, ma anche l’impegno profuso per accogliere e ospitare i molti rifugiati arrivati ai nostri confini in varie occasioni, in particolare quelli della guerra nella ex-Jugoslavia. Notevole impressione hanno suscitato sia l’alluvione in Piemonte nel 1994, sia il terremoto nel Molise del 2002. A tutti abbiamo fornito un aiuto sul posto».
Pur non agendo direttamente sul campo, quali episodi di soccorso le sono rimasti più impressi?
«Quelli dove si perdono vite umane, ovviamente. E anche situazioni di pericolo generale dove è difficile capire come limitare i danni. Ricordo il nostro impegno, molto pesante, per arginare una specie di peste aviaria. Gli operatori per l’occasione, data la grande paura suscitata dalla pandemia dei polli, indossarono speciali tute di “tipo astronautico”… ».
Anche la Pci ha le sue giornate più leggere, quando ad esempio, vi occupate di presiedere a manifestazioni sportive o culturali. In queste giornate, va sempre tutto liscio?
«No. Non sempre si tratta di giornate leggere, per esempio per le manifestazioni sportive, per cui forniamo un aiuto alla polizia o alla logistica. Nella massa c’è sempre qualche individuo che magari ne approfitta per manifestarsi in un modo che rischia di essere lesivo per gli altri… Oppure occorre vigilare per l’incolumità degli stessi sportivi impegnati nelle gare, ricordo un campionato di ciclismo a Lugano che ci ha impegnati a fondo… ».
Arrivano attestati di gratitudine dalla popolazione?
«In passato la Pci godeva di scarsa considerazione. Oggi però la situazione è cambiata. Per esempio l’aiuto agli anziani per un soggiorno di vacanza è molto apprezzato. Lo è anche l’impegno nella lotta contro la zanzara tigre. Molta visibilità e molta riconoscenza hanno suscitato i vari interventi per organizzare i centri di vaccinazione contro il covid».
Lei ha salutato la Protezione civile con un “arrivederci”. Le è dispiaciuto lasciare la presidenza?
«Un po' sì. Però a 83 anni suonati, si può anche accettare… . Il Municipio di Lugano, per motivi di ripartizione politica, non mi ha più rinnovato l'incarico. Per quanto concerne il mio arrivederci, significa solo che la Protezione civile è stata una parte importante della mia vita».
Annamaria Lorefice
lorefice.annamaria@gmail.com
Ignazio Bonoli riceve la targa ricordo della Pci, tra il comandante Aldo Facchini a sinistra, e il nuovo presidente Alfredo Belloni. Dottore in economia, Bonoli è stato caporedattore della redazione economica al Corriere del Ticino, sindaco di Breganzona dal 1984 al 2004, Gran Consigliere dal 1995 al 2011 e Primo Cittadino ticinese nel 2001-2002. Per 30 anni è stato al timone della Protezione civile regione Lugano fino allo scorso ottobre.
L’intervento per l’infezione di peste aviaria, causata dagli allevamenti, indossando “tute astronautiche”.
Istruzione dei militi del salvataggio.
Opere a favore dei beni culturali (foto fornite dalla Pci Regione Lugano).