“Il peggio (non) è passato: aneddoti di una mamma italiana in Svizzera” di Linda Fallea Buscemi – Islandbooks
Sono in bus e mi piace pensare che per ventitré minuti, posso stare seduta senza fare assolutamente niente, senza neppure dovere rimanere in standby (come il televisore quando è apparentemente spento ma, a ben guardare, ha la spia luminosa accesa in basso, ad indicare che lo schermo è disattivato ma l’apparecchio no e resta pronto ad accendersi a comando da un momento all’altro). Così, libera durante il tragitto da responsabilità di ogni sorta, mi godo il panorama attraverso il finestrino del bus. Qui a Zurigo, di solito, nei mezzi pubblici regna un profondissimo silenzio, che per la verità, delle volte, inquieta non poco e fa venire la voglia di urlare “Ehi, c’è nessuunoo? Hallooo!!!” con lo stupore di chi si trova come precipitato in un film di fantascienza, popolato da creature con sembianze umane, che si scopre presto essere dei robot. Oggi, però, questo silenzio mi piace parecchio, perché mi trasmette un profondo senso di quiete del quale avevo proprio bisogno; mi sembra meraviglioso e mi permette di far riposare le mie povere orecchie, stanche di voci e di continue richieste da soddisfare prontamente. Il cervello no, - purtroppo o per fortuna- per quello non ho ancora trovato il modo di farlo veramente riposare. Mi piace scrutare le persone che alla fermata stanno aspettando di salire sul bus; mi affascina guardarle mentre entrano, come si muovono e mi soffermo ad osservare come sono vestite. Talora ne guardo alcune e mi chiedo a cosa stessero pensando, prima di uscire, quando hanno indossato gli abiti che portano. Per esempio, se piove a dirotto - ed io, tutta imbacuccata, sto congelando- mi chiedo a cosa stesse pensando, trovandosi davanti al suo armadio, la signora con il giacchino sottile - tipo sfoglia di cipolla - e come si sia persuasa ad indossare quella minigonna, i collant trasparenti - di quelli che, solo a guardarli, fanno abbassare la colonnina del mercurio nel termometro -, per non parlare degli altissimi tacchi a spillo sui quali arranca finge-niente … Ma dico io: con questo gelo? - chissà poi come si (s)vestirà d’estate!- Per fortuna però (e lo dico sul serio) siamo tutti diversi. Mi diletto ad immaginare le storie delle persone che salgono e scendono dal bus. Mi rallegra la gioia negli occhi di una ragazza piena di entusiasmo, che sorride chissà pensando a cosa o a chi ... Mi commuovo davanti ai movimenti lentissimi, pieni di concentrazione, di un anziano che si sforza di vivere normalmente; tante volte sto lì, pronta ad intervenire perché lo vedo troppo incerto sui suoi passi, ma la paura di offenderlo o mortificarlo con un mio intervento mi blocca, così lo accompagno solo col mio sguardo, respirando piano, quasi per paura che un soffio di vento possa fargli perdere l’equilibrio; lo accompagno con gli occhi finché scende dal bus e si allontana piano piano, scomparendo dalla mia vista... Sono diversi i personaggi che salgono e scendono dal bus, pieni di storia, trepidazione, speranza. Una donna molto femminile, vestita con gusto (finalmente…), si siede di fronte a me, accanto ad un’altrettanto bella donna dall’aria affaticata. La saluta con tre baci, si conoscono: cominciano a chiacchierare e subito incredibile appare il confronto tra le loro diversissime vite. Hanno circa la stessa età: la donna super curata comincia a parlare di ritagli di tempo, di un lavoro manageriale, di un capo che la stressa, delle tante responsabilità in ufficio e poi c’è la palestra, il corso di tango e via dicendo. Ammicca annunciando di essere ritornata da un po’ single, ma non le pesa e racconta di viaggi in posti da favola alla sua stanca interlocutrice che, mentre la ascolta, la guarda con gli occhi sognanti. Quest’ultima, di una bellezza semplice ma ugualmente prorompente, profuma di doccia-schiuma: non si è truccata, ha i capelli lisci, lucidissimi e raccolti in una coda fatta di fretta - forse per la voglia di librarsi nell’aria, fuori casa e non perdere quel bus -; racconta di aver lasciato i suoi bambini ad una vicina di casa con la quale fanno a cambio per avere un giorno tutto proprio (che poi non è un giorno, spiega, ma una mattina… compreso il pranzo, però!) e ne parla come dell’ora d’aria dei prigionieri … Percepisco l’insofferenza di ciascuna nei confronti della propria vita. Non ci vuole una laurea in psicologia per cogliere nello sguardo della mamma il desiderio di “volare”, di sentirsi libera dai gravosi impegni che quotidianamente la sfiancano - eppure non si vedono -, la voglia di sottrarsi al dispendio di energia che scandisce la sua vita giorno dopo giorno, schiacciata dal confronto e dalla competitività. Non mi sbaglio e infatti, mentre sogna una spiaggia tropicale raccontata dall’amica e un abbraccio (tipo quello di Jennifer Lopez e Richard Gere al cinema), sospira un delicatissimo beata te! La single, dal canto suo, mette giù la maschera e vomita uno sfogo disperato, confessando che la sera è stanca morta e quando scende giù dai tacchi per sdraiarsi finalmente sul divano, lo fa solo per rispondere ancora a qualche email, di solito di lavoro. Si chiede se sono i troppi impegni a rubarle il tempo o se è lei ad imbottire la sua agenda pur di non lasciare a se stessa il tempo per pensare … Anche lei vorrebbe essere al posto dell’amica, glielo dice chiaramente! Il discorso è estremamente interessante: man mano che il bus procede nella sua corsa, entrambe cominciano a snocciolare, come i grani di un rosario, i propri gravosi impegni, sognando la pienezza dell’esistenza capitata in sorte all’altra. Se queste due donne potessero scambiare le loro vite, come in un film di Walt Disney, lo farebbero subito! Sul bus ora sale un vecchietto … sguardo basso, gambe come stecchini si perdono dentro un pantalone troppo largo, ma tenuto ben stretto in vita con la cintura; il trentenne seduto al mio fianco lo guarda ma resta seduto: vabbè mi alzo io e volentieri gli cedo il posto. Un’ultima fermata e i miei ventitré minuti sono trascorsi ...
lindafallea.buscemi@hotmail.com
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