Vi siete mai chiesti come mai un giovane svizzero all’estero, con tutte le possibilità davanti, possa essere interessato a svolgere il servizio di leva come volontario nell’esercito?
Sicuramente a questo concorrono diversi fattori, ma forse fra tutti a spiccare sono il fascino della sfida, dell’impresa che dimora dentro al mondo del soldato, di ciò che da quest’esperienza si può imparare, la volontà di prendere contatto più direttamente con la nazione e un briciolo di patriottico amore per i valori che la bandiera rossocrociata rappresenta.
C’è poi forse il sogno e la volontà di vivere le esperienze, tante volte sentite raccontare da padri e nonni, di poter finalmente andare a verificare con i propri occhi la realtà narrata. Di far parte di quella grande famiglia che ha creato, e continua a creare, concitatati ricordi e incredibili narrazioni che, pur parlando di fatica, riescono ad attrarre l’attenzione di chiunque si trovi ad ascoltare, grandi e piccini, indipendentemente dall’età… e che immagino abbia incollato pure i vostri occhi a questa mia breve narrazione, trovandovi ora tutti impegnati a leggere pieni di curiosità.
Certo, passare quattro o cinque mesi sulle alpi, nel cuore dell’inverno, in mezzo a muri di neve o strisciare nel fango vestiti in mimetica in piena estate non è forse l’attività più accattivante, ma porta con sé un senso di fascino e coinvolgimento che ancora oggi per me prescinde dalla razionalità.
Ma torniamo alle origini, ancora prima che quest’avventura abbia inizio.
Di certo tanti di voi lettori e lettrici si chiederanno come si svolga il processo per accedere alla scuola reclute per i cittadini all’estero.
Innanzitutto bisogna sapere che i cittadini svizzeri all’estero sono esonerati dall’obbligo di leva, fintato che non risiedono in Svizzera. Tutto avviene su base volontaria, presentando entro sei mesi dal compimento dei diciotto anni (o per qualche eccezione, entro i ventiquattro anni) i moduli che permettono ai cittadini con doppia nazionalità di essere cancellati dai registri di leva, in questo caso, italiani e di dichiarare di voler svolgere i test di Reclutamento per entrare nell’esercito svizzero. All’arrivo della modulistica a Berna si viene poi contattati dal responsabile dei volontari dall’estero, in modo da completare la documentazione e fissare la data per lo svolgimento dei test veri e propri.
Di questa mia prima esperienza ricordo bene la sveglia presto (anche se le successive sono state ben più traumatiche), gli affascinanti mezzi dell’esercito parcheggiati fuori, le immense camerate, gli interminabili e più svariati test. Fra questi quello che gode di maggior considerazione è certamente il test fisico, con le sue famose cinque prove. Ricordo come, facendo gruppo con altri due ragazzi, che fin da subito avevo notato particolarmente coinvolti, ci siamo spronati a vicenda, riuscendo a raggiungere e superare ampiamente il punteggio per la distinzione, guadagnandoci pure l’appellativo di “Toro”.
Il momento conclusivo di questa due giorni in cui si fa di tutto per dare il meglio di sé è assolutamente fondamentale. Giunti a colloquio con il Colonnello è decisa l’incorporazione, la mansione che si andrà a svolgere. Io, per motivi di interesse personale, ho presentato domanda per i soccorritori sanitari.
Ed eccomi che un bel mattino parto con il primo treno da Venezia, diretto ad Airolo, presso la caserma Bedrina, in Canton Ticino. Il primo impatto è stato sicuramente quello linguistico, non parlando ormai da anni le altre due principali lingue nazionali. Le scuole reclute (SR) sono solitamente svolte in lingua svizzero-tedesca o francese, solo raramente vi sono intere sezioni italofone. Personalmente mi trovavo in una sezione francese e, per mia fortuna, non ho impiegato molto tempo per recuperare le capacità linguistiche.
Forse qualcuno si starà chiedendo se esista una lingua passe-partout per così dire, che permetta la comunicazione fra tutti. Questa lingua, come pure nel civile, non c’è. Basti pensare che la mia sezione parlava francese, con alcuni commilitoni comunicavo in italiano, con alcuni soldati mi sforzavo di esprimermi in quel poco che conosco di tedesco e con l’ufficiale di posta dialogavo in inglese. E questa è forse una delle cose più belle che la nostra nazione e questo esercito possa offrire, perché mostra come ci si possa capire pure parlando lingue diverse, superare questa difficoltà, e collaborare per raggiungere un fine comune, pure nella diversità.
All’inizio l’addestramento era principalmente teorico.
Col passare del tempo la teoria è andata via via sublimando, fino a sparire completamente. Le attività si sono fatte sempre più pratiche, consistendo nell’osservazione delle indicazioni date dal Sergente e poi svolte da tutte le reclute.
E le ragazze?
Pure loro possono svolgere il servizio in tutto e per tutto in egual modo ai ragazzi. Ancora però sono in numero ridotto, seppur in costante aumento, quelle che scelgono di indossare il fascino della divisa.
Altro quesito che immagino molti di voi si pongano è la giornata tipo di una recluta.
Le nostre attività variavano in base al giorno della settimana, ma si componeva, facendo una media ponderata, di una sveglia alle 06:00 per svolgere l’attività sportiva, quando andava bene in palestra, altrimenti all’aperto, con la piacevole brezza invernale mattutina direttamente dalle cime del Gottardo; poi doccia e di corsa in piazza d’appello dove ci aspettava l’attesa, sempre all’esterno indifferentemente dalle condizioni meteo, della chiamata del Furiere per la colazione. Seguiva l’Adunata, il saluto della mattina, prima di iniziare le attività di addestramento che proseguono per tutta la giornata, fino alle 23:00 (se non oltre), interrotte solamente alle 12:00 dal pranzo.
É in questo particolare periodo della mia vita che ho riscoperto il valore della lettura attraverso la sua mancanza. Attività ovviamente impensabile da svolgere, già impegnato a sostenere giornate come queste.
Fra le esperienze più indimenticabili ricordo le simulazioni d’intervento di pronto soccorso con le ambulanze e i super puma dell’aeronautica, le marce, le ore di guardia, la messa in sicurezza di un’area, il tiro al bersaglio e le svariate ispezioni; ma anche le libere uscite con i commilitoni, sempre pronti a bere una birra in più e sudare le dovute flessioni ad ogni partita persa.
La leva è certamente un’attività di formazione della persona e del cittadino, la cui partecipazione può fare la differenza nelle capacità di affrontare la vita di ogni giorno e pure situazioni impegnative che essa può presentare. Seppur durante il periodo di SR fossi, come tutti, un po’ ammaccato, guardando indietro riconosco il grande valore di quant’esperienza e quanto mi abbia saputo e potuto offrire. Oltre agli sbocchi professionali all’interno dell’esercito, l’armée dà la possibilità di ricevere crediti formativi validi presso buona parte delle università poste su suolo elvetico per ogni avanzamento di grado svolto.
Ma è soprattutto sulle persone che credo quest’esperienza possa dare i maggiori benefici.
Non è sempre immediato da capire, e ci si interroga spesso durante l’SR sul perché si debba svolgere un compito che apparentemente sembra ridicolo, stupido o che privi della differenziazione personale, ma quest’esperienza sa donare, sia a chi sa cogliere sia a chi non ne è ancora in grado, la capacità di relazionarsi, di creare una squadra, di collaborare. Fa capire quanto valga il singolo, il gruppo e il singolo nel gruppo; quanto valga il rispetto per sé e per l’altro. Ci aiuta a percepire il valore del tempo, della lettura e della conoscenza, dello svago meritato. Il valore dell’ordine e della cura per i propri oggetti, della libertà di scegliere come vestire, della presenza delle macchine e della capacità ingegneristica. Della solitudine, del silenzio, della pace, dell’organizzazione e dell’efficienza.
Fa capire quanto valga la libertà e fa riflettere su quanto sia disposto ciascuno di noi a offrire e mettersi in gioco per il bene comune.
Sono certo che senza servizio di leva la Svizzera sarebbe molto diversa da come la conosciamo.
Ci permette di vivere il mondo di tutti i giorni attraverso una lente di cristallo, simile, ma diversa da quella che utilizziamo solitamente. In un certo senso si ottiene una prospettiva più distante dalla società civile, pur mantenendo un’ottica di lavoro per il bene della stessa e della nazione intera.
Se poi a qualcuno fosse rimasto il dubbio se sono soddisfatto di questa mia esperienza dirò che si, ma solo per il momento. Vi sono altri gradi e altre lezioni che meritano di essere imparate svolgendo altri ruoli all’interno dell’esercito.
Raffaele Canonica
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