Il 1° agosto 2025, giorno di festa nazionale, resterà impresso a molti. Non tanto per i fuochi d’artificio o il 734° compleanno della nazione. Ma durante la notte il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha indicato di voler applicare dazi del 39% sui prodotti svizzeri importati nel suo paese. La doccia è stata fredda: alla vigilia molti credevano che al massimo l’aliquota si sarebbe fermata al 15%, come quella dell’Unione europea, mentre i più ottimisti speravano addirittura in un trattamento privilegiato. Oggi solo cinque Paesi al mondo pagano dazi più alti sulle esportazioni verso gli Stati Uniti rispetto alla Svizzera.
Lo choc nel mondo economico e politico è stato grande, dal momento che gli Stati Uniti sono un mercato di vendita non indifferente del commercio estero elvetico. Pian piano si stanno manifestando gli effetti: in Svizzera si stima che sia effettivamente colpito circa il 10% delle esportazioni. I prodotti farmaceutici e l’oro sono esclusi, due settori che però sono alla base di molte esportazioni verso gli USA. Tra i settori più toccati vi sono l’industria orologiera e quella tecnologica. Strumenti di precisione, orologi, gioielli e apparecchiature – insieme ai prodotti farmaceutici – sono i principali prodotti di esportazione verso gli Stati Uniti.
Complessivamente economiesuisse – la federazione delle imprese svizzera – indica sono colpiti dai dazi direttamente 100'000 lavoratori. Le regioni svizzere sono colpite in modo diverso. In alcuni cantoni romandi, lavora nell’industria tecnologica e orologiera fino al 30% delle persone impiegate. Proprio in Romandia la quota di esportazioni verso gli Stati Uniti è particolarmente elevata. Per attenuare gli effetti sui collaboratori, la Confederazione ha allungato il periodo durante il quale è possibile richiedere il lavoro ridotto (forma di disoccupazione).
Il futuro è di nuovo… più europeo?
Oltre alla debolezza congiunturale, l’economia oggi secondo la SECO soffre l’incertezza, ma non si prospetta una grave recessione. Il mercato statunitense, seppur rilevante, non è il principale sbocco per l’economia elvetica. Questo rimane, e di gran lunga, il mercato dell’Unione europea. E in questo contesto i media hanno letto il più recente sondaggio condotto in Svizzera sui Bilaterali III. Secondo lo studio condotto ad inizio settembre da gfs.berna il 61% degli svizzeri si dice favorevole a nuovi accordi con l'Unione europea, il 30% è contrario e il 9% non si esprime. Si tratta di proporzioni piuttosto sorprendenti che potrebbero in un qualche modo essere ricondotte alle difficoltà economiche attuali con gli Stati Uniti.
Ma attenzione: un eventuale decisione popolare sugli accordi bilaterali non è prevista prima del 2027 o 2028. Mentre si pone la questione se, al momento della lettura di questo articolo, le volatili condizioni americane sono le stesse di quelle descritte sopra.
Angelo Geninazzi

Oltre al settore tecnologico, a soffrire particolarmente i dazi americani è l’industria orologiera.

Gli svizzeri guardano con più serenità agli accordi bilaterali III? È presto per dirlo.
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